Il tentativo di conciliazione non deve necessariamente svolgersi dinanzi al Corecom

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Nelle controversie in materia di telecomunicazioni, il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione non implica che esso debba necessariamente svolgersi innanzi agli organismi del Corecom, di recente istituzione, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, essendo sufficiente che le parti si rivolgano, in via alternativa, alle camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato, o ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti di imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della commissione europea 2001/310/Ce; pertanto, il tentativo di conciliazione non è proponibile dinanzi al Corecom se, per la medesima controversia, è già stato esperito un tentativo di conciliazione innanzi ad altri organismi abilitati.

Cassazione civile sez. III, 24/10/2018, n.26913 (Cassa App. Milano 28 maggio 2015)

Fonte: Foro it. 2019, 3, I, 914 NOTA (s.m.) (nota di: MINAFRA)

 

 

Segue sentenza d’appello del tribunale di Latina che fa applicazione del richiamato principio giuridico:

Tribunale sez. I – Latina, 08/06/2021, n. 1184

TRIBUNALE DI LATINA – SEZIONE PRIMA CIVILE

nella persona del Dott. SERINO Concetta – Giudice –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al numero 5881 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2020, decisa ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 8.06.2021 e vertente tra: R.M., rappresentato e difeso, giusta procura in calce all’atto di citazione, dall’avv. D’ARGENZIO Fabio ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Latina Via Maenza n. 27; – appellante – e FASTWEB S.P.A., ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusto mandato in calce all’atto di citazione, dagli avv.ti PALA Adriano, PARRI Ferruccio, BRUGNETTINI Barbara ed elett.te dom.ta presso lo studio di quest’ultima in Latina P.L. Nervi Torre 4 Magnolia, sc. A, int. 13; – parte appellata –

 

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, R.M. agiva in giudizio al fine di accertare e dichiarare l’inadempimento della convenuta e ottenere il risarcimento dei danni occorsi, nonché la non debenza della somma complessiva di Euro 199,68, con condanna della convenuta alla refusione della quota parte di Euro 110,92 ingiustamente addebitata, oltre interessi legali con la rivalutazione dal di del dovuto.

Sulla scorta di tali considerazioni, concludeva chiedendo al Tribunale adito di dichiarare che la responsabilità dei danni era da addebitare esclusivamente a Fastweb s.p.a. e accertare il rapporto contrattuale esistente tra le parti, dichiarare la convenuta inadempiente nei suoi confronti e condannarla al pagamento degli importi predetti accertando l’inesistenza di qualsivoglia altra obbligazione, oltre al risarcimento del danno morale ed esistenziale da liquidarsi equitativamente, con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio oltre IVA e CpA. Si costituiva la società Fastweb s.p.a. svolgendo una serie di eccezioni e chiedendo il rigetto della domanda perché infondata in fatto ed in diritto.

Eccepiva, “in primis”, l’incompetenza per valore del giudice adito, da declinarsi in favore del Tribunale di Latina, avendo l’attore domandato la condanna della convenuta, fino alla soglia di Euro 5.200,00 ed “in secundis”, la improponibilità della domanda attorea, per omesso esperimento del tentativo di conciliazione.

Nel merito, deduceva l’infondatezza della domanda attorea, asserendo che, nelle more, aveva, comunque, restituito al R., la somma originariamente allo stesso addebitata di Euro 110,92, mentre quanto alla somma residua di Euro 85,87, trattavasi di somme addebitate al R., a titolo di canoni pregressi non corrisposti.

Istruita la causa, il Giudice di Pace, con la sentenza impugnata, dichiarava improcedibile la domanda.

Il sig. R.M. aziona il presente giudizio di appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e l’accoglimento della domanda svolta in tale sede.

Ciò premesso ai fini dell’integrazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 3 dell’Allegato A della Delib. 182/02/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non deve svolgersi necessariamente dinanzi ai Co.Re.Com., potendo le parti rivolgersi, alternativamente, alle camere di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, ovvero ad altri organismi che risultino muniti dei requisiti di imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità auspicati dalla raccomandazione della Commissione Europea 2001-310-CE (Cassazione 26913 2018).

Ebbene, nel caso di specie è incontestato che sia stato svolto dall’attore, sebbene non dinanzi al Co.Re.Com., il tentativo di mediazione, per cui la domanda deve ritenersi senz’altro procedibile e riformarsi la sentenza impugnata sul punto.

Ne’ deve rimettersi la causa al primo Giudice, non rientrando l’ipotesi in alcuna di quelle di cui all’art. 354 c.p.c..

Nel merito, va detto che parte appellante ha formulato la propria pretesa giudiziale azionando una tutela contrattuale.

L’attore, premetteva che, in data 26/07/2012, nella veste di cliente di Fastweb S.p.a., decideva di migrare, a mente degli artt. 3.3 e 3.5, della Carta dei Servizi Fastweb, verso l’operatore telefonico Infostrada Wind, con il quale, pertanto, stipulava un nuovo contratto, senza aver mai ricevuto, a mezzo e-mail, come previsto dalla Carta dei Servizi, alcuna comunicazione di conferma della dismissione dei Servizi, da parte di Fastweb, neppure in ordine alle modalità di restituzione degli apparati (modem) e indicazione dei relativi consegnatari – destinatari, né, tuttavia, il codice convenzione per la spedizione del modem, gratuitamente, tramite poste italiane (cfr. sul punto, in particolare, l’art. 3.5 della Carta Servizi fastweb), per cui, avendo ricevuto in comodato d’uso, il materiale (scatola/trasformatore e cavo Fastweb), previa ricerca, “motu proprio”, su internet, di un punto convenzionato nella sua città per la restituzione dello stesso, individuava il punto vendita (OMISSIS), ove si recava di persona, in compagnia della Sig.ra C.S. il 07 settembre 2012, il 18 settembre 2012 e il 27 settembre 2012, che in tutte le suddette occasioni gli veniva riferito dalla titolare dell’esercizio che non era possibile effettuare il ritiro, perché al terminale, la sua pratica risultava ancora in lavorazione.

Proseguiva affermando che era stato costretto a spedire, a mezzo pacco postale, il KIT. Parte convenuta, a sua volta, eccepisce che l’attore avrebbe non solo inviato in ritardo il Kit, ma anche con modalità non previste nella Carta dei servizi.

L’attore, dal canto suo, controdeduce che il ritardo con il quale avevano avuto luogo ed esito, la riconsegna del KIT, doveva essere imputato esclusivamente alla previa omessa comunicazione, da parte di Fastweb, all’inadempimento e alla mancanza di professionalità del punto vendita. All’uopo va detto che parte convenuta non ha dato prova di aver inviato all’attore, a mezzo e mail, come previsto dalla Carta dei Servizi, alcuna comunicazione di conferma della dismissione dei Servizi, neppure in ordine alle modalità di restituzione degli apparati (modem) e indicazione dei relativi consegnatari – destinatari, né il codice convenzione per la spedizione del modem, gratuitamente, tramite poste italiane (cfr. sul punto l’art. 3.5 della Carta Servizi fastweb).

Ne deriva che l’attore non ha potuto restituire il modem tramite le modalità indicate e non lo ha potuto fare gratuitamente e, inoltre, presso il punto vendita Fastweb non risultava la dismissione dal servizio, per cui non veniva accettata la restituzione dell’apparecchio, cosicché era costretto a scegliere una modalità alternativa a suo carico, come da ricevuta di spedizione (cfr. all. 3 fascicolo di primo grado) nel fascicolo di parte attrice di prime cure.

E’, tuttavia, circostanza ammessa dallo stesso attore che la parte appellata ha restituito al Sig. R. la somma di Euro 146.04 ancor prima dell’instaurazione del giudizio di prime cure.

Ne deriva che la domanda formulata sul punto dall’attore deve essere rigettata.

Con riferimento alla somma di Euro 85,87 richiesta da Fastweb, la stessa si difende adducendo come la medesima non facesse riferimento alla riconsegna degli apparati, ma a delle fatture non pagate dal Sig. R. e detta circostanza sarebbe dimostrata dalla stessa lettera della società di recupero crediti prodotta da controparte, ove si legge che “… il credito vantato nei Vostri confronti per fatture… i cui importi non risultano pagati…”.

Va, tuttavia, detto, sul punto che il solo riferimento alla fattura, senza neppure indicazione del dettaglio dei costi richiesti per i consumi, il periodo e il riferimento stesso alle fatture non pagate, rende l’allegazione in ordine all’obbligazione in oggetto del tutto assente.

Il R., peraltro, contesta la circostanza.

Ne deriva che deve, in accoglimento parziale dell’appello, dichiararsi che l’appellante non deve a parte appellata la somma predetta.

In punto di diritto, si osserva come, infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale che ha trovato cristallizzazione in un recente intervento delle sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533) che ha risolto un contrasto in materia di inadempimento di obbligazioni e relativo onere probatorio in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento – salvo che si tratti di obbligazioni negative – deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cassazione civile, sez. lavoro, 9 febbraio 2004, n. 2387; Cassazione civile, sez. 3^, n. 28 gennaio 2002, n. 982; Cassazione civile, sez. 2^, 25 settembre 2002, n. 13925; Cassazione civile, sez. 3^, 12 aprile 2006, n. 8615; Cassazione civile, sez. 1^, 13 giugno 2006, n. 13674).

Tanto premesso, deve conseguentemente concludersi come sulla parte appellata gravava l’obbligo di provare il titolo negoziale, non oggetto di contestazione, e l’obbligazione, trattandosi di rapporto di durata.

Ebbene, la genericità dell’allegazione in ordine a tale profilo rende la domanda di accertamento dell’inesistenza del credito proposta dall’appallante accoglibile.

In ordine, invece, al risarcimento del danno richiesto da parte attrice, la stessa aveva l’onere di allegare e provare i danni subiti, oltre al nesso causale tra inadempimento e i danni in oggetto.

In proposito, infatti, la giurisprudenza della suprema Corte ha costantemente affermato il principio secondo il quale, essendo il rapporto di causalità fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno, incombe su colui che agisce per conseguire tale ristoro l’onere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., di fornire la prova della sua esistenza (cfr. Cassazione civile, sez. 3^, 23 maggio 2001, n. 7026; Cassazione civile, sez. lav., 11 aprile 2006, n. 8386; Cassazione civile, sez. lavoro, 24 febbraio 2006, n. 4184).

Ebbene, l’allegazione sul punto è generica e non suscettibile di tutela.

Quanto alla domanda risarcitoria, del tutto genericamente allegata in ordine ai danni, va detto che risultano non meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi che consistano in disagi, ansie, perché, al di fuori dei casi determinati da legge, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente e costituzionalmente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale (cfr. Cass., SSUU, n. 26972/08).

Inoltre, anche il danno non patrimoniale è danno – conseguenza che doveva essere allegato e provato (cfr. Cass. n. 8827/03, n. 8828/03, n. 16004/03, SSUU n. 26972/08; Sez. 6^, n. 2370/14; Cass., Sez. 6^ – 3, 04/02/2014, n. 2370), mentre, nel caso di specie, manca qualsiasi prova.

Anche il danno non patrimoniale non e’, poi, un danno risarcibile “in re ipsa”.

Tanto premesso, in adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, appare evidente che la domanda risarcitoria debba essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione, visto che non si potrebbe provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/08).

Ritiene, quindi, il Tribunale che la domanda proposta debba essere respinta, sia in quanto infondata dal punto di vista giuridico e non avendo, la stessa, correttamente adempiuto agli oneri di allegazione e probatori sulla stessa gravanti in applicazione degli ordinari principi vigenti in materia e desumibili dall’art. 2697 c.c..

Ne’ può utilizzarsi una liquidazione equitativa del danno che presuppone che, a monte, il giudice abbia accertato la sussistenza di un danno: si veda, in particolare, la giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo la quale “la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata” (Cassazione civile, sez. 3^, 5 aprile 2003, n. 5375, ma si vedano anche Cassazione civile, sez. 1^, 10 luglio 2003, n. 10850; Cassazione civile, sez. 2^, 18 novembre 2002, n. 16202; Cassazione civile, sez. 3^, 7 marzo 2002, n. 3327; Cassazione civile, sez. 2^, 8 settembre 1997, n. 8711).

Tale valutazione, infatti, da un lato, è subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, e, dall’altro, presuppone già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l’entità materiale del danno (cfr. Cass. civ., sez. 2^, sent. 18.12002, n. 16202; Cass. civ., sez. 2^, sent. 28.62000, n. 8795; Cass. civ. sez. 3^, sent. 25.91998, n. 9588; Cass. civ., sez. 3^, sent. 2.7.1991, n. 7262).

Inoltre, la parte danneggiata ha l’onere di fornire gli elementi probatori ed i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre del concreto pregiudizio economico subito anche nell’ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur e non anche all’entità del danno ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione dello stesso per equivalente pecuniario (cfr., da ultimo, Cass., sez. 2^, 15 marzo 2005, n. 5551).

Ciò premesso, la domanda attorea risarcitoria non poteva essere accolta.

Le spese del presente giudizio vanno compensate in ragione dell’accoglimento solo parziale della domanda, mentre quelle del primo grado di giudizio, visto che la domanda era procedibile, sono poste a carico di parte appellata.

Esse, liquidate come in dispositivo sulla base delle disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014 tenuto conto del valore della controversia e dell’attività istruttoria svolta, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando in persona della Dott.ssa Serino Concetta, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa, sì provvede:

– in parziale accoglimento dell’appello proposto, riforma la sentenza n. 596/20 resa dal Giudice di Pace di Latina accertando e dichiarando che la domanda proposta da R.M. nei confronti di Fastweb s.p.a. procedibile e, per l’effetto, dichiara lo stesso non tenuto al pagamento della somma di Euro 88.66;

– sempre in riforma della sentenza appellata condanna di Fastweb s.p.a., in persona del l.r.p.t., al pagamento delle spese del primo grado di giudizio in favore R.M. che liquida in Euro 40,00 per spese e Euro 600,00 per onorari, oltre a iva, spese generali e c.p.a.;

– rigetta per il resto l’appello proposto;

– compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Latina, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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