L’inadempimento del gestore telefonico tale da impedire l’uso del telefono fisso, quale che ne sia la durata, non può legittimare alcuna pretesa al risarcimento di danni non patrimoniali in quanto il diritto a comunicare con un solo telefono non è un diritto fondamentale della persona, perché non necessario alla sopravvivenza, e l’impedimento dell’uso del telefono non menoma né la dignità, né la libertà dell’essere umano, né costituisce violazione di alcuna libertà costituzionalmente garantita, tanto meno quella di comunicare, posto che nulla vieterebbe in tal caso di servirsi di altri mezzi (primo fra tutti, un telefono sostitutivo), addossando alla controparte inadempiente il relativo pregiudizio patrimoniale.
( Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, n.17894 )
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Fatti di causa
1. L’odierno ricorrente, D.V.M., dopo avere stipulato un contratto di utenza telefonica c.d. “fissa” con la società Wind Telecomunicazioni s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in WINDTre s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la Wind”), decise di cambiare gestore accettando l’offerta della società Vodafone; tuttavia prima che il nuovo contratto divenisse operativo, l’utente si avvalse del diritto di ripensamento, e recedette dal nuovo contratto con la società Vodafone.
La società Wind, tuttavia, non ripristinò il servizio.
2. Adducendo questi fatti D.V.M. convenne la Wind dinanzi al Giudice di pace di Colle Sannita, chiedendone la condanna al risarcimento del danno sofferto per non aver potuto disporre d’una linea telefonica fissa funzionante, dal marzo del 2011 al maggio del 2012.
Il Giudice di pace accolse la domanda e condannò la Wind al pagamento in favore dell’attore di Euro 200 a titolo di indennizzo per il disservizio, ed Euro 2.000 a titolo di risarcimento del danno.
La sentenza venne appellata dalla Wind.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza 22 dicembre 2017 n. 2276, accolse il gravame e rigettò la domanda risarcitoria, ritenendo che:
- il danno patrimoniale non fosse stato provato;
- il danno non patrimoniale non fosse risarcibile, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art. 2059 c.c..
4. Ricorre per cassazione avverso la suddetta sentenza d’appello D.V.M. con ricorso fondato su un solo motivo ed illustrato da memoria.
La Wind ha resistito con controricorso.
La causa, già fissata per l’adunanza del 26 marzo 2020, è stata differita all’adunanza camerale del 4 giugno 2020 per effetto del differimento delle attività processuali disposto dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 1, e del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, art. 36, comma 1.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso D.V.M. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2059 c.c..
Deduce il ricorrente che il Tribunale ha ritenuto non risarcibile, nella specie, alcun danno non patrimoniale, sul presupposto che l’inadempimento della società convenuta non avesse leso alcun diritto fondamentale e costituzionalmente garantito di cui fosse titolare l’odierno ricorrente.
Osserva in contrario quest’ultimo che la categoria dei diritti fondamentali della persona si evolve col trascorrere del tempo, e tale evoluzione imporrebbe di ritenere che, tra essi, rientra oggi il diritto di disporre di un servizio di telefonia fissa presso la propria abitazione. Deduce il ricorrente a tal riguardo che “in considerazione dell’evoluzione dell’individuo e della società, i mezzi di comunicazione, e quindi in primis il servizio telefonico, rientrano tra i mezzi di sussistenza di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, come affermato nella pronuncia 11 dicembre 2008 n. 45809 della Corte di cassazione, sezione sesta penale”.
Aggiunge, poi, che la lesione di tale diritto fondamentale nel caso di specie doveva ritenersi anche “non lieve”, dal momento che il disservizio causato dal gestore telefonico si era protratto per nove mesi.
2. Il motivo è infondato.
Il danno non patrimoniale, come riconosce lo stesso ricorrente, è risarcibile solo in due casi:
- o quando la sua risarcibilità sia espressamente ammessa dalla legge;
- o quando la sua risarcibilità sia implicitamente ammessa dalla legge: ipotesi, quest’ultima, che si verifica allorchè il fatto illecito ha vulnerato un diritto fondamentale della persona (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605491 – 01).
I diritti fondamentali della persona costituiscono senz’altro un “catalogo aperto”, come sostenuto dal ricorrente: sicchè è ben possibile che diritti in passato considerati secondari assurgano col tempo al rango di diritti fondamentali (è stato il caso, ad esempio, del diritto all’identità personale; del diritto all’oblio; del diritto alla riservatezza, e da ultimo del diritto all’identità digitale); così come all’opposto non è raro che diritti un tempo reputati inviolabili cessino, col tempo, di avere qualsiasi rilievo giuridico (è il caso, ad esempio, del danno da usurpazione del titolo nobiliare o da seduzione con promessa di matrimonio).
2.1. – Ciò non vuol dire, però, che tutte le volte in cui la tecnica o gli usi facciano sorgere nuovi commoda, la pretesa d’avvalersene assurga automaticamente al rango di diritto fondamentale della persona. Affinchè una situazione giuridica soggettiva possa qualificarsi come “diritto fondamentale della persona” sono infatti necessari due requisiti.
Il primo requisito è che tale diritto riguardi la persona e non il suo patrimonio. E la forzosa rinuncia al godimento d’un bene materiale di norma non costituisce lesione d’un diritto “della persona”, salva l’ipotesi estrema in cui il fatto illecito abbia privato la vittima del godimento di beni materiali sì, ma essenziali quoad vitam: l’acqua, l’aria, il cibo, l’alloggio, i farmaci.
E l’uso d’un telefono ovviamente non è necessario alla sopravvivenza.
2.2. – Il secondo requisito da accertare, affinchè un diritto della persona possa dirsi “fondamentale”, è che l’esercizio di esso non possa essere impedito, senza per ciò solo sopprimere o limitare la dignità o la libertà dell’essere umano.
Ma ovviamente l’impedimento all’uso del telefono non menoma nè la dignità, nè la libertà dell’essere umano, nè costituisce violazione d’alcuna libertà costituzionalmente garantita, e tanto meno di quella di comunicare, posto che nulla vieterebbe in tal caso all’interessato di servirsi di altri mezzi (primo fra tutti, un telefono sostitutivo), ovviamente addossando alla controparte inadempiente il relativo pregiudizio patrimoniale.
In definitiva, il ricorrente mostra di confondere il diritto a comunicare, che ha copertura costituzionale, col diritto a comunicare con un solo e determinato telefono, che copertura costituzionale non ha.
Il guasto al telefono od alla linea telefonica, pertanto, quale che ne sia la durata, non costituisce violazione d’alcun diritto della persona costituzionalmente garantito, ed il suo avverarsi non può legittimare alcuna pretesa al risarcimento di danni non patrimoniali.
3. Le osservazioni che precedono non sono infirmate nè dai precedenti giurisprudenziali richiamati dal ricorrente nel ricorso, nè dalle ulteriori deduzioni svolte nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
4. Quanto ai primi, il ricorrente invoca tre precedenti:
- la sentenza della sesta sezione penale di questa Corte, 11 dicembre 2008 n. 45809;
- la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea 11 giugno 2015, in causa C-1/14;
- la sentenza della terza sezione civile di questa Corte 21 giugno 2017 n. 15349.
4.1. La prima di tali decisioni tuttavia non è pertinente rispetto al caso di specie.
Essa aveva ad oggetto un ricorso proposto da una persona condannata per violazione dell’obbligo di mantenimento del figlio minore, e così recita: “nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza richiamata dall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 (…) debbono – nella attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale – ritenersi compresi non più e non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma altresì gli strumenti che consentano un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (ad esempio: abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).
Mezzi i primi e i secondi da apprezzarsi – come è intuitivo – in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato.
Evenienze che nel caso (di specie) i giudici di merito valutano idonee ad avvalorare l’esistenza del contestato reato nelle sue componenti oggettive e segnatamente soggettive (la decisione di primo grado segnala che l’imputato non si è mai curato di visitare o incontrare il figlio minore, tenendo un atteggiamento di indifferenza verso le sorti del bambino e dell’ex moglie, nel contempo avendo dato vita ad una nuova unione coniugale da cui è nata un’altra figlia)”.
La sentenza, dunque, non afferma affatto che telefonare è un diritto inviolabile, ma afferma una cosa ben diversa: che i padri devono fornire ai figli vitto, alloggio, abbigliamento, istruzione e svago.
4.2. – Pure irrilevante, ai fini che qui interessano, è la decisione pronunciata da Corte giust. UE, 11.6.2015, in causa C-1/14, Base Company.
Quella decisione, infatti, aveva ad oggetto il tema della conformità all’ordinamento comunitario di una legge belga, la quale addossava anche ai soggetti fornitori esclusivamente del servizio di telefonia mobile od Internet l’obbligo di contribuire al finanziamento della fornitura del c.d. “servizio universale” di telefonia: un tema, dunque, del tutto diverso da quello oggi in esame.
Nè sarà superfluo aggiungere che non basta l’esistenza, nel diritto comunitario, d’una norma che preveda tariffe sociali od obblighi dei produttori nei confronti dei consumatori, per sostenere che quella norma attribuisca ai destinatari un “diritto inviolabile della persona”.
4.3. – Per quanto attiene, infine, alla sentenza di questa Corte n. 15349 del 2017, l’invocazione di essa da parte del ricorrente è evidentemente frutto di un qui pro quo, dal momento che in essa si afferma un principio esattamente antitetico a quello invocato nel ricorso.
Anche il caso deciso da Sez. 3, Sentenza n. 15349 del 21.6.2017, infatti, aveva ad oggetto una domanda di risarcimento del danno proposta da un utente rimasto privo del servizio telefonico a causa di un inadempimento del gestore. Anche in quel caso l’utente aveva domandato senza successo nei gradi di merito il ristoro del danno non patrimoniale, ed anche in quel caso questa Corte stabili che il giudice di merito aveva “correttamente escluso che i disagi e i fastidi eventualmente incontrati (dall’utente) possano impingere direttamente nella tutela della libertà e sicurezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, non mancando di aggiungere che ai fini dell’esclusione del risarcimento del danno non patrimoniale non poteva trascurarsi anche “la molteplicità dei mezzi disponibili” per sopperire ai disservizi del gestore telefonico.
4.4. – Nella memoria il ricorrente sostiene che la privazione dell’uso del telefono doveva ritenersi, nel caso specifico, violazione di un diritto fondamentale della persona, dal momento che il servizio interrotto era quello d’una linea c.d. “fissa”; che egli non disponeva di altri mezzi di comunicazione; che la zona di sua residenza è “notoriamente” non coperta da altri servizi di comunicazione.
Si tratta tuttavia di deduzioni in punto di fatto, come tali inammissibili.
5. – Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
5.1. – Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
- rigetta il ricorso;
- condanna D.V.M. alla rifusione in favore di Wind Tre s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
- dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di D.V.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 giugno 2020.