La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4485 del 3 febbraio 2020 (in calce), ha introdotto un principio molto interessante, per le potenziali ricadute in ambito processuale, in tema di prova della spedizione di un atto processuale tramite raccomandata.
Per la Cassazione le informazioni sul tracciamento della spedizione sono provabili anche con la semplice stampa ricavabile dal sito Web di Poste Italiane.
Indice dei contenuti
La vicenda
Nel corso del processo per la modifica della misura cautelare nessuno si era costituito per la persona offesa. Il tribunale quindi ha chiesto di controllare la regolare notifica dell’istanza per la modifica della misura cautelare alla persona offesa.
Il difensore dell’imputato non ha potuto esibire l’avviso di ricevimento della raccomandata, perché ancora non pervenuto, ma ha prodotto solamente la stampata relativa alla consegna della raccomandata estratta dal sito Web di Poste Italiane (“dovequando”).
Nel caso specifico il Tribunale non aveva attribuito valenza alla stampa fatta direttamente dal sito prodotta in giudizio.
La decisione della Cassazione
Per la Corte invece nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche; al contrario, vige nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttrice n. 1 della legge delega per il nuovo codice, che stabilisce la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale.
La Suprema Corte, quindi, ha affermato: “Tale principio, data l’identità di ratio, può trasfondersi anche al documento “informatico” che è <<il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti>> (cfr. art. 1, lett. p. D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82) che, per sua natura, vive solo in formato elettronico, e che, per praticità, può rilevarsi in “forma cartacea” per agevolarne la consultazione nel corso del procedimento” .
A presidio del valore probatorio dei documenti informatici pubblici, il legislatore ha previsto una equiparazione con gli atti pubblici mediante introduzione dell’art. 491 bis cod. pen..
Il Tribunale ha dunque sbagliato nel negare, in via assoluta e aprioristica, valenza ai documenti “scaricati dal sito delle poste”, senza neppure preoccuparsi di porre in evidenza eventuali ipotetici indici che inducano a dubitare della affidabilità della documentazione prodotta.
Peraltro lo stesso Tribunale, per i Giudici di Legittimità, avrebbe potuto dipanare eventuali perplessità, accertando d’ufficio, con una procedura di pochi secondi, la effettiva rispondenza dei documenti prodotti a quanto risultante dal sito web delle Poste italiane.
Invero ai fini della ammissibilità di una richiesta, non si può gravare la parte di produrre atti o documenti – nella specie: la dichiarazione dell’avvenuto tentativo di consegna all’indirizzo di residenza; attestazione della temporanea assenza del destinatario e dei soggetti abilitati per suo conto e dell’avvenuto deposito della raccomandata presso la casa comunale; l’attestazione dell’ufficiale postale del mancato ritiro del plico) – di cui non è ancora in possesso per cause non dipendenti dalla propria volontà ed estranee alla propria sfera di controllo (le Poste italiane riconsegnano la ricevuta di ritorno con l’attestazione degli adempimenti svolti in un tempo stimato da 0 a 2 mesi).
La pronuncia qui in analisi è relativa alla sezione penale della Cassazione ed è relativa al processo penale (“principio di libertà della prova”), ma il relativo principio potrebbe essere allargato anche la processo civile e, inevitabilmente, a quello tributario in caso di prova della notifica delle cartelle da parte del Riscossore.
CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. PENALE – SENTENZA N. 4485 DEL 3 FEBBRAIO 2020
SENTENZA
sul ricorso proposto da (omissis) avverso l’ordinanza del 21/10/2019 del TRIBUNALE di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Elisabetta Maria Morosini; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
- Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. da (omissis) avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza difensiva volga ad ottenere la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
La decisione si fonda sul rilievo di ufficio della inammissibilità dell’originaria istanza ex art. 299, cod. proc. pen., per non aver l’indagato dimostrato di aver portato la richiesta a conoscenza della persona offesa mediante il perfezionamento della notificazione, ai sensi dell’art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. - Avverso il provvedimento ricorre l’imputato, tramite il difensore, proponendo un unico motivo per violazione di legge processuale.
In allegato alla istanza ex art. 299 cod. proc. pen. il difensore dell’imputato aveva allegato la spedizione di una raccomandata A/R destinata alla persona offesa, nonché la “stampa” del tracciamento della raccomandata stessa, scaricata dal sito delle poste, non essendo tornato in possesso, nonostante il tempo trascorso, della “cartolina di ritorno” attestante il perfezionamento della notifica per “compiuta giacenza”.
Secondo il ricorrente tanto basterebbe ai fini del soddisfacimento della condizione prevista, a pena di ammissibilità, dall’art. 299, comma 4-bis cod. proc. pen.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Occorre chiare il contesto processuale in cui si inserisce il caso in esame.
2.1 II processo principale – concernente i reati di maltrattamenti in famiglia (capo A) e di violazione di domicilio, commesso con violenza alla persona (capo B) – si è concluso in primo grado con sentenza di proscioglimento ex art. 649 cod. proc. pen. dal reato di cui al capo A) e di condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione per il reato sub B).
2.2 Per tale ultimo titolo di reato l’imputato si trova attualmente sottoposto alla custodia cautelare in carcere, misura che ha chiesto di sostituire con quella degli arresti domiciliari.
L’applicazione della misura cautelare più afflittiva si era imposta allorché l’imputato, già sottoposto alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare, si
era introdotto nell’abitazione della moglie e, dopo averla picchiata, si era rivolto ai carabinieri, nel frattempo intervenuti, dicendo: “o mi portate in carcere o l’ammazzo”.
2.3 È pacifico che si verte in tema di delitto commesso con violenza alla persona che consente di ritenere esistente un pericolo di recidiva “personale” per la vittima. Invero il rapporto di coniugio intercorrente tra autore e vittima giustifica il sacrificio del diritto dell’indagato ad una rapida definizione dell’incidente cautelare a vantaggio del diritto della persona offesa a fornire il suo contributo alle decisioni in tema di libertà, essendo quest’ultima esposta a un rischio “personale”, candidandosi ad essere nuovamente vittima dello stesso autore del reato per cui si procede (cfr. Sez. 2, n. 17335 del 28/03/2019, Ambrogio, Rv. 276953).
Pertanto tornano applicabili i presidi innestati dal d.l. n. 93 del 2013 nel tessuto dell’art. 299 cod. proc. pen. allo scopo di consentire la partecipazione della persona offesa all’incidente cautelare.
3. Ai sensi dell’art. 299, comma 4-bis cod. proc. pen., dopo la chiusura delle indagini preliminari, la richiesta di sostituzione delle misure cautelari previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti concernenti delitti commessi con violenza alla persona, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
3.2 La norma citata prevede, a pena di inammissibilità, distinte modalità di notifica alla persona offesa: 1) presso il difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 33 disp. att. cod. proc. pen.; 2) personalmente, presso la stessa persona offesa, in difetto di nomina di un difensore di fiducia, salva l’ipotesi in cui questa abbia eletto o dichiarato domicilio.
Nel primo caso non sorgono problemi, neppure di carattere pratico, attesa la facile reperibilità del difensore della persona offesa, che può essere raggiunto agevolmente da una notificazione con il mezzo della posta certificata; in una recente pronuncia la Corte di cassazione ha ritenuto che la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere applicata nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona debba ritenersi ritualmente notificata ove risulti consegnata “brevi manu” al difensore della persona offesa il quale vi abbia apposto la sottoscrizione per presa visione (Sez, 2, n. 57845 del 20/11/2018, Vano, Rv. 274472).
Meno scontata la questione della notifica da eseguirsi alla persona offesa non munita di difensore, soprattutto laddove questa non abbia dichiarato né eletto domicilio, considerate le difficoltà che potrebbero sorgere nel reperimento del domicilio del destinatario.
In quest’ultima ipotesi occorre trovare una soluzione capace di bilanciare i contrapposti interessi in rilievo: quello della vittima ad essere informata e “a contraddire”; quello dell’autore del reato ad ottenere una decisione rapida sul proprio status libertatìs.
Si è richiamato allora il canone della ordinaria diligenza esigibile nella fattispecie concreta, considerando destinatari della notifica solo le persone offese i cui dati siano immediatamente ricavabili dal fascicolo processuale, con la ulteriore precisazione che «in caso di allontanamento dal domicilio per destinazione ignota, nessun onere di ricerca grava sulla parte istante» (Sez. 6, n. 8691 del 14/11/2017, dep. 2018, A.).
In altre parole, l’onere di notifica imposto a pena di inammissibilità presuppone che la persona offesa sia agevolmente “reperibile” in base ai dati rilevabili dagli atti accessibili alla parte istante; in difetto di tale condizione l’istanza dovrà essere valutata nel merito, stante l’incolpevole impossibilità di adempiere all’obbligo informativo (Sez. 2, n. 36167 del 03/05/2017, Adelfio, Rv. 270690).
3.3 Quanto alle modalità, secondo la previsione dell’art. 152 cod. proc. pen. le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall’invio di copia dell’atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
3.4 Discende che, per assolvere alla condizione posta a pena inammissibilità dal citato comma 4-bis dell’art. 299, l’imputato deve allegare la prova di avere “contestualmente” notificato, mediante invio di raccomandata con ricevuta di ritorno, la richiesta di revoca o sostituzione della misura, alla persona offesa, presso il domicilio risultante in atti laddove quest’ultima non sia assistita da difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio.
3.5 Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità l’inammissibilità in rassegna è deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento cautelare e, dunque, anche in sede di appello cautelare, posto che il controllo officioso del giudice, attenendo alla legittimità del provvedimento impugnato, prescinde totalmente dal principio devolutivo, fissato in via generale dall’art. 597 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, Fassih, Rv. 267500; Sez. 6, n. 8691 del 14/11/2017, dep. 2018, Rv. 272215).
4. Nel caso di specie dagli atti presenti nel fascicolo processuale a disposizione della Corte – sempre consentito, ed anzi doveroso, quando sia denunciato un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., rispetto al quale la Corte di cassazione è “giudice anche del fatto” (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) – risultano le seguenti circostanze:
- la persona offesa (omissis) non si è costituita parte civile, non risulta assistita da un difensore di fiducia, non ha eletto o dichiarato domicilio (cfr. decreto di giudizio immediato del 22 maggio 2019); la persona offesa risulta residente in (omissis) (cfr intestazione della sentenza di primo grado);
- a tale indirizzo il difensore ha notificato la richiesta ex art. 299 cod. proc. pen., mediante l’invio di raccomandata con ricevuta di ritorno n. (omissis) come risulta dalle copie del cedolino di invio e della lettera di accompagnamento, allegate all’istanza;
- gli ulteriori documenti, allegati alla medesima istanza e “scaricati” dal sito delle poste, attestano i vari passaggi di “lavorazione” della raccomandata, e, quindi, l’esito della spedizione nel senso che: “/a spedizione non è stata ritirata dal destinatario e sarà restituita al mittente” in un periodo indicato “da 0 a 2 mesi”
5. È incontroverso che il difensore del ricorrente, “contestualmente” all’istanza di sostituzione della misura cautelare, ha effettuato la notificazione dell’atto alla persona offesa, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata al domicilio risultante dagli atti.
5.1 Ciononostante il Tribunale ha dichiarato inammissibile l’istanza, ritenendo di non poter riconoscere alcuna valenza alla stampa dell’esito della notifica tratto dal “sito web” delle Poste italiane, poiché si tratterebbe di documento “privo di alcuna prova di provenienza”, che “non consente di ritenere dimostrato che la missiva sia pervenuta nella sfera di conoscibilità del destinatario, in base al meccanismo di conoscenza presunta stabilita dal legislatore, dato che non v’è in atti alcuna relata di notifica (negativa) a firma dell’ufficiale postale da cui possa evincersi: a) la dichiarazione dell’avvenuto tentativo di consegna all’indirizzo di residenza; b) l’attestazione della temporanea assenza del destinatario e dei soggetti abilitati per suo conto e dell’avvenuto deposito della raccomandata presso la casa comunale; c) l’attestazione dell’ufficiale postale del mancato ritiro del plico”.
5.2 La decisione non può essere condivisa.
5.2.1 Va ricordato che nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche; al contrario, vige nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttrice n. 1 della legge delega per il nuovo codice, che stabilisce la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale (Sez. 3, n. 1324 del 27/04/1994, La Torre, Rv. 200375; conf. Sez. 6, n. 7 del 07/01/1997, Pacini Battaglia, Rv. 207362; Sez. 4, n. 18454 del 26/02/2008, Lombardo, Rv. 240159; Sez. 2, n. 52017 del 21/11/2014, Lin Haihang, Rv. 261627).
Tale principio, data l’identità di ratio, può trasfondersi anche al documento “informatico” che è «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (cfr. art. 1, lett. p, d.lgs. 7 marzo 2005, n.82) che, per sua natura, vive solo in formato elettronico, e che, per praticità, può riversarsi in “forma cartacea” per agevolarne la consultazione nel corso del procedimento. D’altra parte, a presidio del valore probatorio dei documenti informatici pubblici, il legislatore ha previsto una equiparazione con gli atti pubblici mediante introduzione dell’art. 491 bis cod. pen..
5.2.2 Dunque il Tribunale erra nel negare, in via assoluta e aprioristica, valenza ai documenti “scaricati dal sito delle poste”, senza neppure preoccuparsi di porre in evidenza eventuali ipotetici indici che inducano a dubitare della affidabilità della documentazione prodotta.
Peraltro lo stesso Tribunale avrebbe potuto dipanare eventuali perplessità, accertando d’ufficio, con una procedura di pochi secondi, la effettiva rispondenza dei documenti prodotti a quanto risultante dal sito web delle Poste italiane.
Invero ai fini della ammissibilità di una richiesta, non si può gravare la parte di produrre atti o documenti – nella specie: la dichiarazione dell’avvenuto tentativo di consegna all’indirizzo di residenza; attestazione della temporanea assenza del destinatario e dei soggetti abilitati per suo conto e dell’avvenuto deposito della raccomandata presso la casa comunale; l’attestazione dell’ufficiale postale del mancato ritiro del plico) – di cui non è ancora in possesso per cause non dipendenti dalla propria volontà ed estranee alla propria sfera di controllo (le Poste italiane riconsegneranno la ricevuta di ritorno con l’attestazione degli adempimenti svolti in un tempo stimato da 0 a 2 mesi), soprattutto laddove si versi in un procedimento afferente allo status libertatis e dunque ontologicamente connotato da ragioni di urgenza.
5.3 In sintesi ai fini della ammissibilità dell’istanza ex art. 299, comma 4-bis cod. proc. pen. non occorre che l’imputato produca in originale l’avviso di ricevimento della lettera raccomandata inviata ove il documento non sia nella sua disponibilità, ma è sufficiente che dimostri di aver provveduto alla notificazione nei termini e secondo le forme richieste dalla legge, facendo tutto quanto è nel proprio potere per garantire alla persona offesa di conoscere l’istanza, dovendo bilanciarsi l’interesse del notificante a non vedersi imputare conseguenze negative per eventuali ritardi nel perfezionamento della fattispecie “comunicativa” a causa del fatto di terzi che intervengano nella fase di trasmissione del contenuto dell’atto e quello del destinatario a non essere impedito nell’esercizio di propri diritti, compiutamente esercitabili solo a seguito dell’acquisita conoscenza del contenuto dell’atto medesimo (arg. da Sez. U civ., n. 12332 del 17/05/2017, Rv. 644252 cit.).
6. In definitiva, nella fattispecie in esame, l’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. non presenta il vizio di inammissibilità ex art. 299 comma-4 bis cod. proc. pen. poiché risulta che il difensore dell’imputato ha proceduto alla notificazione dell’istanza mediante raccomandata con avviso di ricevimento; la notificazione è stata indirizzata al domicilio risultante in atti della persona offesa, che non risulta assistita da difensore di fiducia e che non ha eletto né dichiarato domicilio; la notificazione si è perfezionata “per compiuta giacenza” in quanto risulta dai documenti “scaricati” dal sito web delle poste che: “la spedizione non è stata ritirata dal destinatario e sarà restituita al mittente”.
7. Consegue l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il legame di natura familiare tra le persone coinvolte impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale del riesame di Roma.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge